O mio babbino caro”

Lettera aperta in occasione della festa del papà

 

Tutti sapevano che il disegno l’avevo fatto io. Nessun altro avrebbe disegnato una bambina dalle due treccine, in gonnellina, di certo no i miei fratelli. Io invece, ostinata e vigliacca, continuai a negare. L’intera famiglia si radunò intorno a me insistendo con la domanda: “Chi l’ha fatto, non sai per caso?”. “Disegnare con la cera blu sul parqué non è da ragazzina perbene. Per carità, io no, quelle robe io non le faccio. “Sicura, sicura?” “Ah, sicurissima.” Alla fine, con fatica, ammisi di aver decorato io il pavimento.

Allora tu mi portasti nell’altra stanza. Sapevo bene cosa mi spettava e dissi con determinatezza infantile: “Io non voglio esser battuta!”.

Dopo mi facesti sedere sulle tue ginocchia e con calma mi spiegasti che non era per il pavimento sporco ma per la bugia che avevi dovuto agire, la bugia non la potevamo tollerare in quella casa. Poi, mi spiegasti che farmi del male, a te faceva ancor più male. Intuivo il senso delle tue parole e lasciai che l’insegnamento m’impregnasse.

Ti voglio ricordare in un altro episodio, al mio diciottesimo compleanno. Non mancavano i fiori bianchi, stavolta rose anziché gladioli, non mancava la torta della mamma e il tailleur degli anni Trenta, regalo della nonna. Tu, con un senso di vergogna mai visto, mi facesti scivolare nelle mani una banconota. Quel pezzo di carta per me aveva un valore molto superiore rispetto al suo valore d’acquisto. Non era una somma grande ma profumava di sacrificio. Più tardi, ti accostasti a me e turbato mi dicesti che eri molto triste per non avermi potuto dare di più. “Gli altri padri regalano dei doni preziosi alle loro figlie per il diciottesimo compleanno ed io non sono in grado di donarti niente.Ma io sono contentissima anche così”, risposi commossa. Era un anno in cui dovevamo tirare la cinghia. Credo di aver ricevuto proprio allora il regalo di compleanno più prezioso della mia giovinezza.

Potrei rievocare mille ricordi, mentre suoni il pianoforte in attesa della cena, mentre mi fai ripetizioni in chimica, in teatro, entusiasti dello spettacolo, o mentre mi offri un passaggio in macchina perché non perda il treno. Tanti piccoli flash del passato e del presente in cui ricordo il tuo amore paterno. Puccini ti è sempre piaciuto, così ti saluto con le parole di Lauretta del Gianni Schicchi: O mio babbino caro!

 

Katinka