La
vita nelle favelas
Il
Brasile, stato del Sud-America, è da sempre considerato meta ambita per le
vacanze da parte degli occidentali che, tra un’escursione e l’altra, hanno
l’opportunità di vedere e in parte conoscere alcune caratteristiche di quello
che viene definito da molti un meraviglioso e festoso paese.
Accanto
però ai lustri, alle spiagge incontaminate, ed ai lussuosi alberghi turistici
si cela una parte di Brasile che lascia poco spazio all’immaginazione ed al
divertimento, è la cosiddetta zona delle favelas e della povertà.
Il
nord-est è la parte più povera del paese ed è caratterizzato da case di fango
che spesso vengono costruite dalla sera alla mattina e che se si è fortunati si
riesce in qualche modo ad ingrandire.
I
poveri arrivano da diverse parti del paese in cui, per svariate ragioni, non
riescono più a sopravvivere e costruiscono così in una notte un piccolo
agglomerato di casupole col tetto di paglia spesso costituite da una sola
stanza. A volte le casupole vengono abbattute per ordine del governo locale,
altre volte invece riescono a diventare più vivibili e compaiono anche piccole
costruzioni di mattoni o piccoli negozi ma del tutto diversi dai grandi centri
commerciali del centro città.
Il
primo problema degli abitanti delle favelas è la mancanza di lavoro stabile e
redditizio, chi lavora a giornata, chi a ore, chi si occupa di faccende
domestiche nelle case dei ricchi, ma comunque lo stipendio non supera gli 80
euro e ciò non permette una vita dignitosa nè per se
stessi nè per i figli che spesso sono numerosi.
Correlato alla mancanza di lavoro è il conseguente problema della fame dato che
spesso non hanno da mangiare e nelle zone più interne non hanno nemmeno l’acqua
con conseguenti situazioni igieniche e sanitarie ben immaginabili.
Oltre
al problema economico che molte volte si ripercuote anche sulla salute delle
persone che non possono pagarsi i trasporti verso gli ospedali e le medicine
per curarsi vi è anche la crescente criminalità correlata all’abuso di droga ed
alcolici che dilania le comunità dei poveri. Molte zone che di giorno sembrano
tranquille, di notte si trasformano in quartieri rissosi in cui bande composte
da ragazzi molto giovani finiscono coinvolti con la malavita e abusano di
sostanze stupefacenti e alcolici.
In
questo contesto si inserisce il sempre più gravoso fenomeno del lavoro minorile
e scopriamo i cosiddetti “meninos de rua”: in media bambini dai 5 ai 9 anni lavorano 12 ore la
settimana, bambine dai 10 ai 13 22 ore, mentre gli adolescenti tra i 16 e i 17
anche 37 ore.
I
bambini nelle periferie povere raccolgono arance o caffè, tagliano la canna,
sorvegliano le macchine…, nei sobborghi delle metropoli vi è un crescente
mercato della prostituzione e del traffico di droga, nelle città invece trovano
posto nelle bancarelle dei mercati o ai margini delle strade.
La
maggioranza dei meninos de rua
proviene da famiglie distrutte dalla povertà che obbligano i loro figli a
guadagnarsi la vita da soli e molte volte per lenire i morsi della fame, i
dolori o il freddo, utilizzano droghe
sintetiche molto dannose per l’organismo.
Il
furto e la prostituzione diventano in questo modo, purtroppo, due forme di
facile guadagno.
A
suscitare perplessità è il lavoro domestico che coinvolge bambine tra 5 e 17
anni le quali abitano solitamente nella casa in cui prestano servizio ma spesso
sono malnutrite e sottoposte ad orari massacranti con stipendi molto bassi.
E’
quindi evidente che la povertà famigliare, unita alla domanda di mercato che
richiede manodopera a basso costo, è una causa che spinge i bambini ad entrare
molto presto nel modo del lavoro essendo loro stessi molto spesso il mezzo di
sopravvivenza per gli adulti.
Mara