Mentre
sto scrivendo queste righe siamo ancora in quaresima, ogni venerdì percorriamo
la via dolorosa che culminerà il venerdì santo con la cruenta morte di Gesù per
dare, poi, spazio alla gioia immensa della risurrezione. Già, gioia immensa. Ne
siamo sicuri?
A
tale proposito riporto alcuni pensieri tratti dalle riflessioni di Louis Evely, scrittore cattolico belga, cominciando subito dai
versi del Vangelo: “la mia gioia sia in
voi e la vostra gioia sia piena” (Gv, 15,11).
Il Vangelo è
notizia lieta, il cristianesimo è la religione della gioia. Noi cristiani siamo
messaggeri della gioia, testimoniamo la resurrezione, nonostante la faccia
funebre che a volte indossiamo. Sarà questa gioia a contraddistinguerci nel
mondo e questa gioia sarà il nostro strumento di evangelizzazione. Ma noi come
gestiamo il dono della gioia? Molti cristiani sono più disponibili a soffrire
con Cristo sofferente che non gioire con Gesù gioioso. Quanto indispensabile è
sostare alle stazioni sul Calvario, tanto importante è percorrere le tappe
della gioia. Spesso la nostra vita religiosa da Pasqua in avanti va in ferie.
Nel momento in cui l’ora della morte per Gesù è passata, noi non sappiamo cosa
farne. Continuiamo a combattere nella vita quotidiana e Lui se ne sta lassù
nella felicità eterna. Di solito siamo pronti a condividere la sofferenza
altrui (dolore condiviso: dolore dimezzato) ma partecipare alla felicità degli
altri richiede quel tipo di disinteresse che ci stacca da noi stessi.
Ricordiamoci che la gioia condivisa è gioia raddoppiata. L’ideale sarebbe
vivere talmente di Dio, con Dio, per Dio e in Dio che dentro di noi non
troviamo niente di più forte della Sua gioia. Siamo invece propensi a coccolare
con gelosia la nostra tristezza che tende a soffocare la gioia anche negli
altri.
La
nostra religione è quella della resurrezione, dell’apertura verso Dio,
dell’apertura vicendevole tra di noi, non della chiusura e dell’afflizione. La
gioia cristiana è la vittoria sulla tristezza.
Se
sono felice perché mi va tutto liscio e vivo nell’abbondanza, non testimonio
nessuno. Se sono invece un povero infelice, un malato infelice, un perseguitato
infelice ugualmente non stupisco nessuno con il mio atteggiamento, non faccio
testimonianza di Dio.
Non
crediamo più in Dio che nella gioia. Molti cristiani si limitano a testimoniare
la tomba vuota di Gesù e là fanno la guardia. Si accontentano di vivere una
vita moralmente giusta ma con la loro vita
continuano a parlare della lontananza di Dio. In realtà noi facciamo
testimonianza di Dio, solo se L’abbiamo incontrato e se abbiamo lasciato che ci
guarisse.
Si
tratta di più che un semplice sbaglio di proporzioni, se dopo le settimane di
preparazione della quaresima manteniamo viva la gioia silenziosa della
risurrezione solo per alcuni giorni e solo il vangelo delle domeniche
successive ci fa venire in mente che siamo ancora in periodo pasquale. Se della
risurrezione parliamo mosci e flosci, nessuno ci crederà.
Katinka